Gli LLM (Large Language Model) e i sistemi di generative AI stanno trasformando la produzione e la distribuzione dei contenuti. Strumenti come ChatGPT, Perplexity o i nuovi AI Overview di Google stanno già cambiando il modo in cui le persone cercano informazioni, leggono articoli e prendono decisioni d’acquisto.
Ma a fianco delle opportunità, emergono gravi rischi per la proprietà intellettuale e per il valore economico dei contenuti. Editori e aziende si trovano ad affrontare una sfida duplice: difendere i propri asset da usi impropri e ripensare la propria strategia di visibilità nell’era dell’AI.
Casi reali: dalle denunce agli effetti reputazionali
Negli ultimi mesi si sono moltiplicate le azioni legali contro i produttori di AI:
- New York Times vs OpenAI e Microsoft: il quotidiano accusa l’uso non autorizzato dei propri articoli nei dataset di training.
- Getty Images vs Stability AI: denuncia per l’uso illecito di immagini protette, in alcuni casi riconoscibili dai watermark originali.
- Editori giapponesi vs Perplexity AI: accusano il servizio di copiare, archiviare e ripubblicare articoli interi, spesso introducendo errori o inesattezze. Un rischio ulteriore, perché i contenuti generati finiscono per danneggiare la credibilità delle testate stesse.
Questi casi non riguardano solo il settore media. Qualunque azienda che produce contenuti proprietari — white paper, studi, cataloghi digitali, blog — rischia di vederli assorbiti, distorti o ripubblicati senza controllo.
Il nodo giuridico: Europa vs Stati Uniti
- In Europa, il diritto d’autore (Legge 633/1941 e Direttiva Copyright UE) tutela le opere originali, mentre il nuovo AI Act, il primo quadro giuridico a livello mondiale in materia di IA, che affronta i rischi dell'IA, imporrà obblighi di trasparenza sui dataset e tracciabilità dei contenuti generati.
- Negli Stati Uniti, il dibattito si concentra sul fair use: le big tech sostengono che l’uso di contenuti protetti da copyright per l’addestramento rientri nelle eccezioni di legge, ma la giurisprudenza non ha ancora dato risposte definitive.
Il risultato è un’area grigia che espone le aziende a rischi legali differenti a seconda della giurisdizione in cui operano.
AI Overview: quando la ricerca toglie traffico
Un cambiamento altrettanto disruptive è quello di Google AI Overview, che mostra agli utenti risposte sintetiche generate dall’AI invece dei tradizionali link a siti esterni.
Secondo analisi indipendenti:
- Il traffico verso i siti web si riduce drasticamente, perché gli utenti trovano già la risposta all’interno di Google.
- Gli editori vedono erodere la loro principale fonte di valore: la visibilità e la monetizzazione tramite pubblicità o abbonamenti.
- Le aziende rischiano di sparire dai percorsi di ricerca tradizionali, perdendo occasioni di contatto, lead generation e vendite.
Di fatto, Google e gli altri provider di AI stanno diventando intermediari totali: raccolgono i contenuti da aziende e publisher, li rielaborano e li presentano senza necessariamente rimandare alle fonti originarie.
Implicazioni per le aziende: oltre il copyright
I rischi non si fermano al tema legale:
- Perdita di controllo sulla reputazione: se un AI agent ripubblica dati inesatti, l’azienda può subire danni d’immagine.
- Calo di traffico e opportunità: con AI Overview e agent conversazionali, le visite ai siti proprietari calano, riducendo l’impatto di strategie SEO e content marketing.
- Rischio competitivo: se gli AI agent privilegiano i competitor come fonte, il brand perde spazio negli scenari decisionali.
- Valore economico eroso: meno traffico significa meno conversioni, meno lead e meno ricavi diretti dai contenuti.
Come tutelarsi concretamente
Le aziende possono (e devono) muoversi su più livelli:
- Governance contrattuale: negoziare con i fornitori di AI clausole che chiariscano responsabilità e limiti sull’uso dei contenuti.
- Tecnologie di protezione: adottare watermarking, fingerprinting e sistemi di tracciamento per rilevare l’uso improprio dei propri asset digitali.
- Monitoraggio attivo: utilizzare strumenti di content recognition per individuare copie, ripubblicazioni o citazioni errate.
- Strategie di AI Optimization: non solo SEO, ma anche AEO (AI Engine Optimization), ovvero la capacità di essere citati dagli agenti AI come fonte autorevole. (Se vuoi approfondire leggi: " Tutto quello che c’è da sapere sulla SEO nell’era dell’AI").
- Partecipazione al dibattito normativo: collaborare con associazioni di settore per definire regole eque a livello europeo e internazionale.
Standard di autenticità digitale: C2PA e Content Authenticity Initiative
Un ulteriore strumento a disposizione delle aziende per proteggere i propri contenuti e adeguarsi al nuovo AI Act europeo è rappresentato dal protocollo C2PA (Coalition for Content Provenance and Authenticity), nato dalla Content Authenticity Initiative (CAI) guidata da Adobe e supportata da oltre 1.000 stakeholder globali.
L’obiettivo è creare uno standard aperto e trasparente per contrastare la disinformazione e garantire la tracciabilità dei contenuti digitali. Attraverso l’aggiunta di metadati verificabili — che riportano chi ha creato il contenuto, quando e con quali modifiche — e l’uso di firme digitali e tecnologie blockchain, C2PA consente di:
- Certificare l’origine dei contenuti, distinguendo materiale autentico da output generati dall’AI.
- Documentare in modo trasparente i processi di editing, aumentando la fiducia dei consumatori e dei partner.
- Adeguarsi ai requisiti normativi previsti dall’AI Act, che richiede l’indicazione chiara dei contenuti prodotti o modificati da sistemi di intelligenza artificiale.
Per le aziende questo significa poter proteggere il proprio capitale informativo, ridurre il rischio di manipolazioni o appropriazioni indebite e rafforzare la fiducia del mercato in un’epoca in cui autenticità e trasparenza diventano asset competitivi.
Conclusione: dal rischio al framework operativo
La trasformazione portata dagli LLM e dagli agenti AI non può essere subita: va governata. Per le aziende, il modo migliore per bilanciare innovazione e tutela è adottare un approccio strutturato che diventi parte della governance digitale.
Un possibile framework operativo:
- Proteggi – difendere i propri asset attraverso tecnologie di watermarking, protocolli come C2PA/CAI, clausole contrattuali con i fornitori di AI e accordi chiari sulla responsabilità.
- Monitora – attivare sistemi di sorveglianza costante (content recognition, audit sugli output AI) per rilevare usi impropri e ridurre il rischio reputazionale.
- Ottimizza – evolvere dalle pratiche di SEO tradizionale all’AEO (AI Engine Optimization), per essere riconosciuti come fonti affidabili dagli agenti AI e comparire nelle risposte conversazionali.
- Influenza – partecipare al dibattito pubblico e alle associazioni di categoria per orientare policy e regolamentazioni, contribuendo a un ecosistema più equo e sostenibile.
Adottare questo approccio significa trasformare un terreno di incertezza legale e competitiva in una leva di resilienza strategica e vantaggio competitivo.
La sfida non è solo proteggere i contenuti, ma ridisegnare strategie digitali in grado di reggere all’impatto dell’AI. Con RHEI le aziende trovano un partner capace di unire consulenza e tecnologia per trasformare la complessità normativa e competitiva in un vantaggio strategico duraturo. Parliamone.